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Convivere

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CONVIVERE

Marta. Una donna avanti negli anni, il viso un cumulo di rughe, le gambe una ragnatela di vene. Caparbia e indomita. Determinata a imporre il proprio volere, a non lasciare ad altri le consegne.
Ha fatto della casa, in cui vive sola da anni dopo la morte del marito, il suo oggetto privilegiato di compagnia.
La casa è narrazione, è stipo di ricordi, è storia. La casa è persona vivente.
Lì dove i muri grossi recingono la consistente volumetria di una stanza al pianterreno, con le tende alle finestre, il cassettone seicentesco e il camino in pietra grigia, non vuole mettere il condizionatore: l’apparecchiatura esterna rovinerebbe il prospetto ed è meglio convivere con i rigori invernali invece di cercare soluzioni che contrastano esigenze estetiche.
Il suo angolo è la sedia in cucina, accanto alla stufa con il tubo infilato nella cappa enorme: la fiamma scoppietta e i ceppi ardono consumandosi veloci dentro il cilindro di ghisa che arroventa.
Lì è calore, è odore di pioppo, di olmo, di quercia. E’ cenere, memoria di bucato.
Lì il freddo umido è vinto con la forza dell’autenticità.
Anche la figlia sa della vita di quest’angolo, ma adesso che è sposata vorrebbe assicurare al marito e ai figli una maggiore comodità quando viene per un po’ di soggiorno.
La madre si ostina a difendere abitudini, come le ha insegnato il marito e come le detta l’impulso ad imporre.
In inverno si corre negli spazi ampi di stanze diacce, come si è sempre fatto. C’è solo l’angolo della stufa in ghisa e un paio di radiatori del termo per la sua zona letto.
Le sole persone che qualche volta circolano negli interni sono un operaio tuttofare, che raccoglie la legna nel bosco, quando la figlia non c’è, e una signora delle pulizie che si presta anche per la spesa.
Marta se ne sta per molte ore al giorno seduta sul divano davanti al televisore o accanto alla stufa. Assapora il piacere e il dispiacere del rimuginare e fa scorrere la pellicola degli episodi passati, soprattutto di quelli tristi e di conflitto che le danno la loro carica di eccitazione.
Oscilla tra l’autocommiserazione e l’inappellabile convinzione delle proprie categoriche ragioni.
La figlia, quando percepisce gli umori alterati, sente crescere dentro di sé una forma di nervosismo che, non di rado, si traduce in risposte alle provocazioni.
Un vento d’ira s’insinua tra gli interstizi di realtà umane mutate dagli eventi. A tratti si placa per poi riprendere perché è difficile estinguerlo per sempre.








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